1.0 Titolo A: Quarantadue, contro l’inerzia del non scrivere ed elementi di intelligenza ricombinatoria.
Titolo B:Crisi di nervi

1.0 Titolo A: Quarantadue, contro l’inerzia del non scrivere ed elementi di intelligenza ricombinatoria. Titolo B:Crisi di nervi

Una linea da seguire per i prossimi articoli

7 min read

#1.0 Titolo A: Quarantadue, contro l’inerzia del non scrivere ed elementi di intelligenza ricombinatoria. Titolo B: Crisi di nervi 1.1 Ogni tanto ci ripenso… Classico esempio di frase vuota:

‘’A volte la noia lascia lo spazio a qualche sprazzo creativo’’.

Qua verrà contemplata la spazzatura mentale espressa sotto forma scritta. Crepi pure la creatività. Il massimo a cui posso attingere è cercare di essere il netturbino di pensieri di altri. Il counter delle frasi vuote è a due e rischia di aumentare.

Per frase vuota intendo qualsiasi tentativo di liricizzare concetti che altrimenti rivelerebbero, fin troppo chiaramente, l’insicurezza esistenzial-giovanile di un’adolescenza caratterizzata da molta frustrazione e ben pochi momenti allegri.

Ovviamente nella precedente categoria cadono anche tutti i tentativi ridicoli di ‘’citazione’’ causati da troppe ore liceali passati sui manuali di storia di filosofia: concetti come:

-‘’Iperuranio’’

-‘’Sostanza prima o pensate’’

-‘’Apeiron’’

-‘’Superomismo o qualsiasi termine Nietzsche like’’

-‘’n riferimenti all’esistenzialismo francese e/o psicanalisi’’

Denoteranno l’appartenenza di chi li usa alla prima parte della Gaussiana del QI.

Vista la natura semiseria di questa sotto rubrica del ‘’Grimorio’’ ritengo necessario sottolineare che se qualcuno si sente personalmente attaccato*: fa bene**,* ma non è un problema del sottoscritto . Qua in breve non vengono date risposte filosofiche ‘’sul senso della vita, l’universo e tutto quanto’’ anche perché la risposta sarà sempre una: 42.

1.2 … poi però me ne pento. Se ci rifletto, e fidatevi (non fatelo) lo faccio parecchio, non trovo quasi nessun vantaggio evidente nel mettere per ‘’iscritto’’ quello che si pensa:

mettere in forma scritta i nostri pensieri ci porta infatti a dargli una struttura coerente e coesa. Il costo di questa formalizzazione è spesso renderci conto di quanto le nostre idee, che spesso sembrano dei veri e propri ‘’lampi di genio’’ aka ‘’intuizioni’’ altro non siano, nella migliore delle ipotesi, delle banalità.

Trovo che sia molto convenevole considerare l’uso coretto del predicato ‘’essere reale’’ solo quando esso è applicato a quelle cose che ci danno torto e smentiscono le nostre idee:

Il premio Nobel del 1906 per la fisiologia venne assegnato a parimerito a Camillo Golgi e a Santiago Ramón y Cajal. Cosa c’è di strano in ciò?

Può sembrare paradossale ma i due scienziati avevano due modelli della rete neuronale che potremmo chiamare mutualmente esclusivi, perché?

Golgi sosteneva la teoria Reticolare, Credeva che il sistema nervoso fosse un’unica, ininterrotta rete fisica chiamata sincizio, in cui le fibre nervose di diverse cellule si fondono direttamente tra loro per formare una rete continua che conduce gli impulsi nervosi in modo diffuso e non direzionato.

Lo spagnolo invece sosteneva la Dottrina del Neurone. Credeva che il sistema nervoso fosse composto da singole unità cellulari discrete (i neuroni), che sono strutturalmente e funzionalmente indipendenti. L’impulso nervoso si propaga in una direzione specifica (dal dendrite all’assone) e passa da un neurone all’altro attraverso un contatto, che in seguito fu chiamato sinapsi, senza fusione fisica.

Questi erano due modelli che potremmo chiamare ‘’subdeterminati dai dati osservativi’’, ovvero i dati empirici che erano a disposizione ai tempi non permisero alla giuria di Nobel di decretare quelle delle due fosse vera. Furono il tempo e una serie di prove funzionali (‘’scoperta’’ delle sinapsi nel 1932 da parte di Charles Sherrington) e il progresso tecnologico (Microscopio elettronico negli anni ’50) a dare torto a Golgi.

Ma cosa c’entra tutto questo con lo scrivere? Tutto sommato non tanto. Ha più a che fare con un atteggiamento che oserei chiamare pragmatico alla vita. La scrittura, in questo caso, rappresenta la messa alla prova. cosa intendo dire con ciò?

Vorrei, ma è solo una dichiarazione di intenti, mettere a nudo alcune idee accuratamente selezionate per vedere se esse reggono il confronto con la realtà.

Questa è quella che io chiamo l’etica dello scienziato, che ad un primo sguardo risulta assai convincente e che presenta due possibili alternative:

Formulo un’ipotesi—>Provo a verificare la correttezza di questa ipotesi (esperimento)—>Da qui due possibili alternative:

L’ipotesi viene, temporaneamente, confermata.

L’ipotesi viene definitivamente confutata.

Sembrerebbe un metodo infallibile, vero? Peccato (in verità è una fortuna) che gli esseri umani si innamorano delle proprie idee anche quando queste sono evidentemente contradette dalla realtà.

Questo accadde per due motivi:

La fatica, in termini di risorse cognitive, nell’essere disposti a cambiare sempre idea.

La paura di soffrire: spesso ci attacchiamo a certe idee poiché abbiamo impegnato tantissime risorse (per loro natura limitate) per essa. Il pensiero di poter soffrire paralizza e spesso porta a sofferenze più grandi di quelle che avremmo potuto provare abbandonano l’idea originaria. L’unica soluzione è cerca di abituarsi al fallimento, giornalmente, mettendo alla prova le nostre intuizioni.

Potrebbe sembrare che la ‘’sofferenza’’ sia qualcosa da cui fuggire: nient’affatto essa ha una funzione biologica essenziale. Credo che questo sia però un tema da affrontare, forse, in futuro.

intanto

1.3 Che bella intuizione! “Ho scoperto che con centocinquanta libri ben scelti un uomo possiede, se non un riassunto completo di tutta la conoscenza umana, almeno tutto ciò che un uomo ha davvero bisogno di sapere.” Tratto dal conte di Montecristo, Abate Faria a Edmond Dantes.

Abbiamo visto come dovrebbero essere selezionate idee, ma da dove tiriamo fuori il materiale grezzo?

La citazione iniziale è evidentemente un po’ fuorviante poiché una conoscenza di tipo concettuale-teorica è vuota senza l’esperienza derivata da un’azione pratica (come detto sopra). Vabbè ma fino a qui niente di nuovo; solo vecchio kantismo spacciato come grandi teorie psicologiche (se mai ce ne furono). Perché mi interessa impostare questo schema conoscitivo?

Ritengo francamente dannosa una certa concettualizzazione che lega il genio a tratti psicologici ‘’particolari’’ che in virtù di essi riescono ad avere ‘’intuizioni’’ fulminanti capaci di trovare soluzioni a veri e propri cul-de-sac dell’intellettuali. B.Labatut è sicuramente l’esempio più lampante di questa tendenza:

‘’Quando abbiamo smesso di capire il mondo’’ è sicuramente un ottimo volumetto (onore alla traduzione poiché scorrevolissima) di aneddoti interessanti riguardanti la vita di grandi scienziati, ma niente più. E’ sicuramente un libro divertente poiché la più altra espressione del ‘’gossip’’ sulla vita degli altri. Di per sé questo non ha niente di male se non fosse che in questa descrizione di aneddoti viene anche fatta passare una visione del genio disturbato che in virtù di qualche illuminazione divina trova l’Idea. La realtà è spesso diversa e, generalmente, molto più grigia e monotona:

Joyce, durante la stesura dell’Ulysses, passava giornate a rimuginare, piangere e riscrivere per ore e ore.

Sono poi quasi leggendarie i racconti sulle ore passate da Borges all’intero della biblioteca di Buenos Aires per riuscire ad accumulare più materiale utile alla scrittura.

Qual è la differenza tra il ”genio” argentino e quello irlandese?

Il primo ha avuto una produzione densissima e solo alcune delle sue raccolte si contraddistinguono (Aleph e Finizioni in particolare) rispetto alle altre.

Joyce ha invece pubblicato solo quattro pere maggiori: Dubliners, Dedalus, l’Ulisse e Finnegans Wake. Le prime tre sono tutte opere diversissime in forma e contenuto, la quarta è invece un delirio.

Nonostante le evidenti diversità tra i due quello che gli lega è la capacità ‘’combinatoria’’ determinata dalla loro enorme cultura pregressa e la loro esperienza e destrezza nello scrivere.

La competenza, in campo artistico tanto quanto in quello scientifico (non credo alla divisione tra cultura scientifica e umanistica), passa solo attraverso ore e ore di pratica che ben poco si presta ad una romanizzazione da ‘’Biblioteca Adelphi’’.

Non c’è via di scampo: le idee ‘’vengono alla mente’’ solo se le abbiamo estrapolate e interpretate da qualche parte. Povero Cartesio…

Come si spiega invece che alunne idee funzionano più di altre?

Bisognerebbe capire perché in alcuni periodi storico-sociali-geografici, alcune ”intuizioni” hanno la fortuna di venir selezionate poiché capaci di aderire al contesto socio-tecnologico (torna utile la storia di Cajal-Golgi).

Questi sono i fondamenti di questa rubrica, da qui tutto segue.

Suggest an edit

Last modified: 16 Oct 2025